mercoledì 20 agosto 2008

126

San Vensis non è un nuovo santo ma 126 pronunciato all'italiana, all'anagrafe Baiocco Emiliano. Tutti lo chiamavano così, dal direttore della miniera n. 19 di Charleroi, ai suoi compagni di galleria a 1400 metri sotto terra.
Era il 1948 e De Gasperi vendeva queste braccia di ventenni al Belgio per un sacco di carbone, proprio pochi quintali, che servirono al miracolo economico italiano degli anni '50, quando l'Italia usciva distrutta da una guerra nella quale era entrata baldanzosa per spartirsi il bottino di guerra con Hitler, che nel frattempo avanzava vittorioso.
Oggi è tutto diverso, beninteso, ma le nostre missoni di "pace" all'estero assomigliano a quella sperata, quanto sciagurata, spartizione. Non si tratta più della spartizione di un bottino di guerra, oggi, ma della spartizione di appalti per la ricostruzione. Naturalmente per le aziende che vanno a braccetto con il premier di turno in visita ufficiale.
Se ne andava dalle Marche, delle quali conosceva bene il sole e la montagna, per andare in Belgio, un paese sconosciuto, e per certi versi anche ostile, piatto come la Pianura Padana, sempre nuvoloso e con pioggie giornaliere (salvo 2 settimane a luglio), dove poi sono nato io nel 1953 e dove abbiamo vissuto in un ex campo di concentramento nazista adiacente alla miniera dove lavorava "126" a Marchienne Au Pont nei pressi di Charleroi, finchè nel 1956, dopo la sciagura di Marcinelle, la direzione della miniera, per la vergogna di trattare gli italiani come prigionieri di guerra, ci assegnò un'abitazione normale in Rue de Zone n. 71.
La casa - si fa per dire - precedente era come questa, in lamiera ondulata, ma al posto della parete verso destra aveva solo una tenda allestita da mia madre per separare la zona letto, mentre la casa successiva era ben dignitosa e sul retro c'era anche l'orto (anche se le finiture che si vedono nella foto, allora non c'erano).
Due anni fa mia madre è tornata in occasione del cinquantenario di Marcinelle e la vediamo davanti al giardino sulla Rue de Zone.
L'abbiamo tenuta fino al 1961 quando Babbo, ottenuta la pensione di invalidità al lavoro, ci ha riportati a Piaggiasecca.
Anche Antonio Cerquarelli ha abitato qui, prima di tornare a Sassoferrato.

Allora non c'erano tutti quegli alberi, e dove adesso (in quest'ultima foto) si vede un caseggiato che è la Club-House di un complesso sportivo di tennis, calcio e altro, allora c'erano tutte file di case a tunnel in lamiera tondeggianti (come la foto sopra), separate da stradine di 3 metri in terra battuta, con buche e pozzanghere mostruose sempre ben riempite dalla pioggia giornaliera.

Sulla sinistra, dietro agli alberi, si intravede la punta di alcuni sheds (coperture a "Z"), che ricordo da bambino vedevo in fondo alle stradine dove giocavo, tempo permettendo.

Nella foto sotto si vedono gli sheds come erano allora, e ci sono anch'io, ma non sono quello che si vede in basso, perchè - mi dicono - ero ancora nella pancia di mamma: da sinistra verso destra, la mia futura comare di battesimo Gilda Cappelli, il mio futuro compare di battesimo Arnaldo Roani di Casalvento, la mia futura mamma e "126" e, in basso, Giancarlo Cappelli, figlio di Gilda e Antonio Cappelli, e mio amico d'infanzia (nel 1965 sono tornati ad Ascoli Piceno).
Con lui ho fumato la prima sigaretta a 5 anni, poi ho smesso (quasi mi strozzavo), poi ho ricominciato a 14 e smesso a 33 e ricominciato a 48 (ma col Toscano).

Il 9 luglio 2012 alle ore 06,28 Emiliano è morto all'Ospedale di Fabriano. Negli ultimi anni aveva letto una gran quantità di libri, specie in inverno, per i quali usava come segnalibro una stecca di legno e, per evitare che cadesse, cingeva il libro con un elastico.

1 commento:

Unknown ha detto...

Molto interessante..penso che questa esperienza ti abbia segnato tutta la vita Mariella Berzolari